Come mostrato nell’introduzione lo sport d’élite ha aumentato le pressioni sugli atleti sia da un punto di vista prettamente fisico (aumento dei carichi di lavoro e delle competizioni) sia da un punto di vista mentale. Una riduzione della salute mentale è intesa come, ad esempio, la comparsa di ansia, depressione, burnout, disagio psichico ed abuso di sostanze.
Da una recente review sistematica la prevalenza per ansia e depressione nello sport professionistico ed olimpico è del 34% (278,284). In particolare, nello sport d’élite del Regno Unito è del 47,8% (281), tra il 25-43% in giocatori di calcio in cinque nazioni europee (282) e sono molto simili a quelli rilevati anche in altri continenti come l’Australia (283). Invece, l’angoscia è presente tra l’11 e il 26,8% (281,282). Questi disturbi sono minori negli sport di squadra rispetto a quelli individuali e si trovano sia in atleti seniores che juniores (6-18 anni) (285,296). Inoltre, si conosce che l’età in cui si ha il maggior rischio di disordini psichici coincide con l’età in cui si è maggiormente competitivi dal punto di vista fisico (279), infatti, speculativamente sono in maniera inferiore nei giocatori anziani (289). Se si confrontano queste percentuali con la popolazione generale si può constatare che sono comparabili a quelle rilevate nella popolazione generale in Danimarca (287), mentre, per il caso specifico riscontrato nei giocatori di rugby inglese è maggiore rispetto alla media della popolazione del loro stato (288). Anche il genere incide sulla comparsa dei disturbo dell’ansia, infatti è inferiori negli uomini (289). Inoltre, se si contestualizzano i dati lungo una stagione di rugby d’élite si mostra come in fase preparatoria la prevalenza della depressione e di ansia generalizzata sia maggiore rispetto alla fase competitiva (depressione, pre-season = 12,6%, in-season = 10,1%; ansia, pre = 14,6%, in = 10,1% rispettivamente) (290).